Alcune recenti sentenze della Cassazione (la n. 10164 e la n. 10561 del 2021) ci danno l'occasione per un breve punto sul superminimo. Il superminimo è un elemento accessorio ed eventuale della retribuzione che può essere pattuito ed inserito nel contratto individuale e il cui importo si aggiunge al minimo contrattuale spettante al lavoratore.  La cosiddetta assorbibilità del superminimo indica la possibilità che lo stesso resti assorbito nell'aumento della retribuzione del lavoratore (derivante ad esempio dal rinnovo del CCNL). Il principio generale è che il superminimo è appunto soggetto all'assorbimento ed è a carico del lavoratore dimostrare l'esistenza di un titolo che escluda l'assorbimento mantenendo intatto il superminimo a fronte di aumenti contrattuali a diverso titolo. Si comprende quindi che qualora la sua non assorbilbilità non sia esplicitata dalla volontà iniziale delle parti (cosa che normalmente avviene quando lo stesso viene attribuito a fronte di particolari modalità dello svolgimento delle mansioni) potrà essere non facile ricostruire la volontà delle parti, deducibile anche attraverso il loro comportamento pure successivo al patto. Potrà essere rilevante una prassi aziendale, un comportamento concludente  (così nel caso della sentenza n. 10164 laddove il datore di lavoro aveva pagato una prima tranche dell'aumento collettivo senza assorbire il supemrinimo). Attenzione poi a come sono formalizzate la clausole su di esso: una recente sentenza della Corte d'Appello di Milano - 24 febbraio 2021, n. 962 - ha sancito che se era previsto dalle parti che il superminimo sarebbe stato assorbito da futuri aumenti dei minimi contrattuali, non si poteva dedurre che esso fosse assorbibile nel caso di un passaggio di livello determinato dal raggiungimento di una data anzianità come da previsione del CCNL. Insomma ogni caso è diverso dall'altro è il diavolo sta nei dettagli...