Quattro sentenze in tema Covid, le prime due su una norma specifica (il divieto di licenziamento) le seconde due in merito ad una giusta causa intimamente legata alla pandemia. Tribunale Milano 28 gennaio 2021 E’ nullo il licenziamento (con applicazione art. 18 commi 1 e 2 Statuto lavoratori, reintegra) per GMO che sia stato inviato con lettera partita il giorno prima dell’entrata in vigore della norma che vieta tale tipo di recesso e ricevuto alcuni giorni dopo. Ciò per la natura di atto unilaterale ricettizio del licenziamento, che produce effetto dal momento in cui per viene a conoscenza del soggetto cui è destinato, per cui temporalmente il divieto non può che fare riferimento al momento del ricevimento. Ci si potrebbe chiedere perché nel caso di specie non si è provveduto ad una revoca “Covid”, istituto predisposto proprio per consentire una via d’uscita in casi di questo tipo, inevitabili in situazioni di assoluta novità legislativa (peraltro sempre il Tribunale di Milano con Ordinanza 10 dicembre 2020 ha chiarito che la revoca Covid era applicabile ai soli licenziamenti adottati in vigore del periodo di sospensione, non a quelli precedenti). Tribunale di Ravenna 7 gennaio 2021 In un caso di licenziamento per inidoneità sopravvenuta in periodo di divieto Covid il Tribunale ne statuisce l’illegittimità (rectius, nullità con reintegra) in primo luogo per che ritiene indubitabile che il motivo addotto sia di natura oggettiva nella dicotomia espressa dall’art 3 legge 604/66 (la difesa aveva argomentato che l’inidoneità poteva essere oggettiva, ma nulla aveva a che vedere con le ragioni economiche legate ala pandemia, giustificatrici del divieto del GMO). Il Tribunale, quasi in replica a tale difesa, aggiungeva però che anche per quel tipo di recesso valevano le ragioni di tutela economica e sociale alla base della normativa emergenziale e questo perché le misure organizzative che il datore di lavoro deve dimostrare di aver preso per trovare un posto al dipendente inidoneo ed evitare il recesso non possono che essere influenzate dall’oggettivo calo di lavoro e di produzione che la pandemia ha provocato. Di qui l’ulteriore elemento oggettivo del recesso, che lo accomuna a quello pacificamente vietato, il GMO. Tribunale Trento 21 gennaio 2021 Un caso di giusta causa (licenziamento non sospeso dal Covid) legato non alla normativa Covid, ma alla situazione concreta venutasi a creare. Una lavoratrice straniera, dopo un periodo di ferie concesse dal datore di lavoro trascorso all’estero e dopo un ulteriore periodo di congedi fruiti per motivazioni varie, non rientrava in servizio. L'assenza veniva motivata con la necessità di rispettare l'obbligo di quarantena fiduciaria, imposta a tutte le persone che tornavano da un paese straniero. L’azienda contestava alla dipendente la scelta di essersi recata in all’estero nonostante fosse a conoscenza dei divieti e delle restrizioni esistenti in merito alla circolazione delle persone e, soprattutto, nonostante fosse a conoscenza del fatto che a seguito del rientro dal suo Paese avrebbe dovuto rispettare un periodo di quarantena fiduciaria; periodo che avrebbe inevitabilmente impedito la ripresa, per almeno 14 giorni, della prestazione lavorativa. Al momento della partenza per l'estero (questo il punto determinante per il Giudice), la dipendente era consapevole (o comunque doveva essere consapevole) che al suo rientro non avrebbe potuto riprendere immediatamente servizio, per essere allora vigente l'obbligo di restare in quarantena fiduciaria per chi rientrava dall'estero. La condotta negligente consiste quindi per il Tribunale nel mettersi - in maniera cosciente - in una situazione di impossibilità di riprendere il lavoro alla fine delle ferie, con la conseguenza che l’assenza risultava priva di giustificazione. Quindi il Tribunale rileva la sussistenza della giusta causa non solo nella prolungata assenza della lavoratrice ma anche nella noncuranza con la quale la dipendente ha gestito l'intera vicenda, anteponendo i propri interessi personali a quelli dell'azienda. Il Tribunale di Bologna (12 dicembre 2020) si è espresso su questione analoga, ma non identica. In quel caso alla contestazione della lunga assenza il lavoratore si giustificava adducendo di avere avvertito il responsabile e di essere stato impedito di ritornare dal suo paese di origine, a causa del blocco dei voli causato dall’emergenza sanitaria, e di essersi conseguentemente attivato per imbarcarsi sul primo volo disponibile. Il Giudice osservava che se incombeva sul lavoratore l’onere di provare che l’inadempimento fosse giustificato da un fatto a lui non imputabile, tale prova non era stata adeguatamente soddisfatta. Non emergeva infatti prova che l’interessato si fosse tempestivamente attivato, una volta constatata la cancellazione del volo originariamente prenotato, per imbarcarsi su un altro volo; né risultava che avesse ottenuto autorizzazione al mancato rientro da soggetto a ciò legittimato.